lunedì 22 marzo 2010

Emma Bonino e la fuga del terrorista Toni Negri

da camelotdestraideale.it


Professore di Dottrina dello Stato presso l’Università di Padova; fondatore dell’organizzazione eversiva nota come Autonomia Operaia, Negri, agli occhi di Emma e Marco, presentava un titolo che più di altri lo rendeva meritevole di un seggio parlamentare: in quel momento, infatti, alloggiava presso una confortevole struttura carceraria, in regime di custodia cautelare, con un bel fardello di accuse sul groppone. Eccole elencate: insurrezione contro lo Stato, banda armata, associazione sovversiva, rapina, furto, omicidio di due persone, sequestro di persona e danneggiamenti. Indiscutibilmente addebiti di tutto rispetto. Solo contro un pedofilo se ne sarebbero potuti muovere di peggiori.

Le elezioni ebbero luogo in giugno. I Radicali racimolarono 800.000 voti, il 2,2% dei consensi complessivi, e portarono nel Palazzo undici deputati ed un senatore. Tra gli eletti figurava anche il professore di Padova, naturalmente.

La prima seduta del nuovo Parlamento si tenne il 12 luglio.

La cronaca di quel giorno, nel racconto di Guido Guidi (Il Giornale, mercoledì 13 luglio 1983):

Toni Negri, dal principio alla fine, ha ostentato un sorriso smagliante dietro il quale si intuiva un grande imbarazzo: l’impatto è stato duro e la giornata, per lui, densa di avvenimenti e di emozioni. I missini lo hanno insultato pesantemente in aula; i democristiani lo hanno invitato a lasciare subito Montecitorio e, comunque, ad evitare di farsi vedere in giro; i magistrati romani, con una tempestività prevista ma abbastanza inusuale hanno chiesto alla Camera l’autorizzazione a procedere contro di lui e, soprattutto, ad arrestarlo perché “i fatti contestati sono eccezionalmente gravi”.

Il primo adempimento, infatti, che la confermata presidente Nilde Jotti ha dovuto compiere è stato quello di comunicare all’assemblea che il procuratore generale della Corte d’Appello di Roma, Franz Sesti, aveva chiesto d’avere la possibilità di riprendere subito l’azione penale nei confronti del neodeputato e, quindi, il processo forzatamente sospeso undici giorni or sono nell’aula del Foro Italico.

Le accuse sono quelle note da tempo: insurrezione contro lo Stato, banda armata, associazione sovversiva, due omicidi (uno volontario ed uno preterintenzionale), rapine, sequestro di persona, furti, danneggiamenti. I supporti, che il procuratore generale ha raccolto in un dossier molto voluminoso, sono costituiti non soltanto dalle confidenze di numerosi “pentiti”, ma – e questo è un aspetto abbastanza singolare del caso – dalle stesse ammissioni fatte da Toni Negri nel suo interrogatorio al Foro Italico, bruscamente interrotto dalla elezioni a deputato (…).

Per mettere bene a fuoco questa vicenda, poi, non si può prescindere dal considerare l’opera saggistica del professore di Padova. In tomi come “Il dominio e il sabotaggio” (1977), infatti, Negri definisce la propria visione politica; in qualche modo avallata, in virtù della candidatura offertagli, dal duo Bonino & Pannella:

L’azione insurrezionale contro lo Stato si articola nell’opera di distruzione dello Stato (…). La crisi capitalistica deve avere un effetto imposto e dominato dal potere proletario. Destabilizzare il regime non può essere qualcosa di diverso dal progetto di destrutturare il sistema. L’insurrezione non può essere separata dal progetto di soppressione dello Stato (…). Smantellare il sistema nemico comporta, immediatamente, la necessità di attaccare, di destabilizzare il suo sistema politico (…). Il metodo di trasformazione sociale è quello della dittatura e della eliminazione del nemico (…). E noi possiamo solo rispondere che la dittatura è, non può che essere, e noi faremo tutto quanto ci è possibile – fino a sacrificare la nostra vita, come facciamo oggi con la rivoluzione, lo faremo domani con la dittatura – perché essa sia un processo collettivo finalizzato alla libertà, all’emancipazione del proletariato (…)”.

Torniamo ai fatti.

La Camera, avendo ricevuto dagli inquirenti romani la succitata richiesta a procedere contro il leader di Autonomia Operaia, il 19 settembre di quell’anno la mise ai voti; e i deputati furono chiamati a pronunciarsi in merito all’incarcerazione di Toni Negri. Questi, però, mentre a Montecitorio si deliberava sulla sua sorte, decise di correre ai ripari e di abbandonare il Paese.

Il racconto di Massimiliano Scafi (Il Giornale, venerdì 23 settembre 1983):

Le tracce del leader dell’Autonomia si perdono martedì sera. In quelle ore il docente stava seguendo tramite Radio radicale il dibattito a Montecitorio da un rifugio segreto. Dalla sede del gruppo parlamentare del Pr Jaroslav Novak, imputato a piede libero nel processo 7 aprile, si teneva continuamente in contatto telefonico con Negri. “Era vicino Milano – ha detto Novak – in casa di amici”.

Da allora più nulla. E’ già all’estero, al sicuro, afferma Pannella. Potrebbe aver passato la frontiera con il suo tesserino universitario. Si trova a Parigi? E’ a Strasburgo? Oppure a Berlino? Qualcosa bolle in pentola. Pannella starebbe preparando una mossa ad effetto, in vista delle elezioni europee dell’84, candidando forse il professore nelle proprie liste. Rischia però nel frattempo un’incriminazione per favoreggiamento (…)”.

Latitanza; una fuga concordata con i vertici del Partito Radicale; Pannella che garantisce che Negri “è già all’estero, al sicuro”, e che, a sua volta, rischia “un’incriminazione per favoreggiamento” dello stesso.

Ma come andarono davvero i fatti, in quell’occasione? I Radicali aiutarono il terrorista Toni Negri ad espatriare?

Probabilmente in questa storia ci sono due verità: quella accertata – a suo tempo – nelle aule di giustizia; e quella custodita – ancor oggi segretamente e gelosamente – da chi, a vario titolo, partecipò a quella vicenda favorendo la fuga del leader di Autonomia Operaia.

Tra la prima e la seconda verità, come spesso capita in situazioni del genere, c’è un abisso. Lo appureremo a breve.

La prima verità può essere raccontata facilmente, grazie a Wikipedia:

Negri fuggì in Francia grazie all’aiuto di Donatella Ratti (da cui ebbe una figlia, Nina) e di Nanni Balestrini”.

La seconda verità, invece, è racchiusa in un libro pubblicato nel 1993 da un giornalista del gruppo Rizzoli Corriere della Sera, Mauro Suttora. Il libro s’intitola “Pannella, i segreti di un istrione”; e ciò che a noi interessa è contenuto nel Capitolo 23 del medesimo (quello dedicato al caso Toni Negri):

Il Parlamento concede l’autorizzazione all’arresto di Toni Negri, e i radicali non votando risultano determinanti. Nel frattempo, però, il professore è scappato in Francia sulla barca di Emma Bonino (…)”.

Suttora è stato da me contattato via mail; abbiamo avuto un breve colloquio, e nel corso dello stesso gli ho rivolto alcune domande a cui gentilmente ha risposto:

Lei accusa Emma Bonino di aver favorito la fuga di Toni Negri, mettendogli a disposizione la propria barca?

Suttora: “Non è un’accusa, è una constatazione. All’epoca sarebbe stata una rivelazione, perché nessuno lo scrisse. Forse qualche pm zelante avrebbe potuto addirittura incriminarla”.

Com’è venuto a conoscenza di questa informazione?

Suttora: “Dirigenti radicali”.

Quando ha scritto il libro era in possesso di prove che documentassero la succitata asserzione?

Suttora: “Solo la rivelazione confidenziale di una fonte”.

E’ mai stato querelato dalla Bonino per quanto ha scritto nel suo libro?

Suttora: “No”.

Emma Bonino, dunque, mettendogli a disposizione la propria barca, avrebbe aiutato a fuggire in Francia (è un reato) Toni Negri: una persona accusata di insurrezione contro lo Stato, banda armata, associazione sovversiva e omicidio.

Lo slogan che ha scelto per le Regionali del Lazio è: “Ti puoi fidare”.

Bracciano: On.Meloni: "Io non voglio un presidente della regione che crede sia una vittoria regalare ai giovani la libertà di drogarsi"


Domenica, 21 marzo 2010.
Il Ministro per le Politiche Giovanili Giorgia meloni, ha descritto presso il ristorante Al Luccio d’Oro la differenza ideologica tra le due candidate alla Regione Lazio.


Accolta da un lunghissimo applauso, il Ministro per le Politiche Giovanili Giorgia Meloni ha fatto il suo ingresso la sera del 16 marzo, insieme al consigliere regionale Francesco Lollobrigida, al ristorante Luccio d’Oro. Dopo aver incontrato i simpatizzanti del Popolo della Libertà a Villa Clodia di Manziana e prima di proseguire il dibattito politico a Ladispoli, si è intrattenuta un paio di ore con quattrocento commensali braccianesi per parlare della sfida politica intrapresa dal Governo e delle differenze abissali che caratterizzano le linee di pensiero delle due candidate alla Regione Lazio, Emma Bonino eRenata Polverini.

“Oggi abbiamo la possibilità di confrontarci con la sfida più bella della politica, trasformare le idee in mattoni, qualcosa da regalare alle generazioni future - ha esordito il ministro Meloni – per ricostruire i valori di riferimento che fanno parte del nostro Dna e che da sempre abbiamo difeso nelle piazze, nelle strade e nelle scuole”. L’onorevole Meloni ha parlato di legalità, sicurezza, tradizione, identità, solidarietà, concretezza e anche di meritocrazia, quale punto di partenza per dare a tutti, a prescindere dalla condizione sociale, economica, geografica, di età e di sesso, la possibilità di far parte di una società egualitaria dal punto di partenza, “perché l’Italia è una nazione ancora bloccata dalle rendite da posizione, dai mezzi consolidati”.

Portando l’esempio della riforma delle università ha sottolineato che “siamo stati tanto contestati da qualche oligarchia di potere solo perché abbiamo detto che volevamo dare la possibilità di lavorare a qualche giovane ricercatore che se lo merita, invece che ai soliti raccomandati baroni”. “Sul valore della legalità – ha ribadito - possono dire quello che vogliono, ma a casa mia contano i fatti, e i fatti dicono che questo è il governo che nella storia della Repubblica ha ottenuto i più grandi risultati nella lotta alla criminalità organizzata, noi abbiamo sequestrato alla mafia 27 miliardi di euro, abbiamo arrestato oltre la metà dei trenta ricercati d’eccellenza in tema di criminalità organizzata, stiamo mettendo in ginocchio la mafia e ne dobbiamo andare fieri, io mi sono iscritta al Fronte della Gioventù in seguito all’attentato del giudice Borsellino e della sua scorta, oggi sono orgogliosa di vedere questi sorci mafiosi letteralmente tirati fuori dalle loro buche e trascinati in galera”.

In tema di sicurezza e solidarietà, il Ministro ha specificato che “nessuno mi convincerà mai che solidarietà significa fare entrare tutti gli immigrati che lo chiedono e poi, nella migliore delle ipotesi, tenerli ai semafori per pulire i vetri delle nostre macchine, la solidarietà è un’altra cosa, è dare alle persone una vita dignitosa. Solidarietà è chiedere il rispetto delle nostre tradizioni e della nostra identità – e anche su questo punto ha voluto essere chiara - perché non ne posso più di questi presunti filosofi europei che stanno a sindacare sui diritti o meno dell’Italia, per esempio, di appendere un crocifisso nelle aule delle nostre scuole, è un dato di fatto che in quel simbolo sono raccolti i valori che hanno fondato la nostra civiltà e se questo offende qualcuno io devo consigliargli di prendere in considerazione l’idea di vivere da un’altra parte del mondo”.

Sul principio della concretezza – ha continuato l’onorevole Meloni - sono rimasta basita quando l’altro ieri ho ascoltato in televisione un esponente del Partito Democratico che accusava il Governo di avere consegnato in Abruzzo le case tutte uguali, con presine e canovacci dello stesso colore, ma vi rendete conto il delirio di certi politici che si permettono di dire cose del genere quando di fronte ad altri disastri per decenni la gente è vissuta in container, non sono stati in grado di dare una risposta, poi si lamentano perché le presine sono tutte uguali. Sono anche francamente basita da un Pierluigi Bersaniche oggi chiede le dimissioni di Guido Bertolaso e ieri non aveva gli attributi per chiedere le dimissioni di Antonio Bassolino”.

Giorgia Meloni ha concluso l’intervento con il confronto di pensiero tra le due candidate. “Renata Polverini è la prima donna alla guida di un sindacato, una donna che riesce a confrontarsi sui tavoli della concertazione, che ha a che fare con i problemi reali, puri della gente, dall’altra parte abbiamo Emma Bonino, una persona che da sempre sta in politica ed è portatrice di una cultura che è l’esatto opposto di quella in cui crediamo noi. Io non voglio un presidente della Regione Lazio che immagini sia una grande vittoria regalare ai giovani la libertà di drogarsi, io voglio un presidente della Regione Lazio capace di dire che la vera conquista per i giovani è quella di liberarsi dalla droga, voglio un presidente della Regione Lazio che predisponga i mezzi per aiutare una donna a mettere al mondo un bambino, non che le dia una mano per abortirlo. Ed è anche per questo che dobbiamo decidere da che parte stare”

Iris Novello

IL 28 E 29 MARZO VOTA LISTA POLVERINI